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Lo Scambio alla Pari

una relazione essenziale

Con questo articolo non intendo spiegare come funziona tecnicamente lo Scambio alla Pari o quali sono le regole che lo informano – queste informazioni le trovi qui. Vorrei invece trasmettere la magia, l’atmosfera che facilmente si crea con questa singolare forma di relazione. Il brano è tratto dal mio racconto “La grazia dell’ictus. L’incontro col trauma e i doni dell’ascolto”, pubblicato dalle Edizioni Mediterranee (Roma 2018) in appendice al libro “Il Focusing e la saggezza del corpo. Dalla persona all’essenza”, di Germana Ponte.

 

Ascoltare sé stessi in presenza di una persona che ascolta

Il Focusing, in quanto pratica di consapevolezza, si esercita anzitutto da soli, in piena autonomia. Ciò che caratterizza tale pratica, esaltandola, è che si può attuare in presenza di un compagno nei cosiddetti Scambi alla Pari, tipici momenti strutturati nei quali in coppia, a turno, ciascuno offre il proprio tempo ad un altro essere umano che intende coltivare il rapporto d’amicizia con sé stesso.

Nei cinque continenti, ogni giorno in migliaia s’incontrano in questi scambi, dal vivo oppure tramite internet o telefono. Basta infatti una conoscenza di base del Focusing tale da garantire sia la capacità di focalizzare che quella di saper ascoltare un partner che focalizza, unita alla condivisione delle regole dello scambio, per cocostruire il fertile ambiente psicologico che consente pure a degli sconosciuti di darsi un concreto sostegno umano. Questa singolare forma di relazione, chiamata partnership quando una coppia la esercita con continuità, influisce in maniera unica sul processo di Focusing, e la comprensione di sé che ne scaturisce ha potenti effetti positivi sulla qualità della vita e sulla salute, come mostrano anche recenti studi di neurobiologia interpersonale. Ciò vale anche se i soggetti non si frequentano al di fuori di quelle occasioni e magari abitano a centinaia di chilometri di distanza.

Uno spazio protetto dove posso ascoltarmi

Per me, focalizzare vuol dire ritagliarmi uno spazio protetto dove posso ascoltarmi da solo o con accanto qualcuno che ha liberamente scelto di essere testimone partecipe e rispettoso di quell’appuntamento intimo tra me e me che resta invisibile a suoi occhi. In quei minuti a mia disposizione posso esplorare qualsiasi tema o questione io valuti importante, e a questo non c’è davvero limite. Che sia una notizia che toglie il sonno o un invito scomodo che pare brutto rifiutare, la critica che ancora brucia o il complimento che ha arrossito il volto, il comportamento preoccupante di un figlio o quello intollerabile del collega, il sogno eccitante della notte scorsa o gli inquietanti fatti di cronaca, si focalizza sempre a partire da un’impressione relativa ad una determinata circostanza, perché è il corpo che ci parla attraverso l’infinita gamma di sensazioni di cui è capace.

Nell’incontro alla pari, strutturato da poche, semplici regole, nel quale ognuno è guida responsabile del proprio processo e al contempo base sicura per l’autorivelazione dell’altro, si può sperimentare qualcosa di raro e di fortemente salutare: abbandonarsi e svelarsi a sé stessi in presenza di una persona che sa ascoltare senza invadere. Così, mentre si focalizza, che non significa confessarsi o comunicare più di quanto si ritenga opportuno, potrebbe accadere di lasciar scorrere le lacrime e di riuscire, forse per la prima volta, ad accettarle con genuina tenerezza grazie anche alla presenza empatica del compagno che accoglie sinceramente quella sofferenza senza volerla mandar via; o potrebbe succedere di aprirsi e mostrare a sé stessi la propria fragilità, vulnerabilità, vergogna, lasciar parlare parti di sé che criticano aspramente, ascoltando però quei giudizi con orecchie nuove e non giudicanti grazie anche all’apertura non giudicante e valorizzante del partner.

Riunioni interiori che hanno come fine la verità, la libertà

In quelle riunioni interiori, che hanno all’ordine del giorno questioni che mi toccano e come fine la verità e la libertà, ho appreso tantissimo dalla mia storia, un tantissimo che per sbocciare attendeva e attende la carezza della Presenza come le gemme attendono quella della primavera.

Questa speciale, assidua frequentazione di me stesso, che sovente e volentieri vede qualcuno che ha scelto di starmi fiduciosamente vicino ovunque io voglia andare, mi rivela sempre più cosa vuol dire conoscersi e rispettarsi, riconoscere e amare la realtà ‘così com’è. Parole di antica saggezza, queste, che quando sono pronunciate con superficialità perdono la loro forza generativa diventando sterili luoghi comuni, parole che non portano frutto come semi nel vento che non toccano mai terra. Perché è il nostro corpo la terra, quello il luogo nel quale il senso di ogni esperienza ha origine, dove la parola prende corpo e trasforma in poeta chi la narra, come scrive Gibran, “Sono nato una seconda volta quando il mio corpo e la mia anima s’innamorarono e si sposarono”; dove il corpo prende parola e trasforma in medico chi assapora consapevolmente il suo suono, come dice Adalberto Barreto, illustrando la Terapia Comunitaria Integrata, “Quando la bocca tace, gli organi parlano… quando la bocca parla gli organi guariscono”.

La dimensione politica dell’interiorità

Da quello sposalizio che si rinnova ad ogni respiro, vengono alla luce significati nuovi, e passato, presente e futuro si inquadrano in una prospettiva altra che lascia emergere comprensioni e soluzioni animate da uno spirito gaio che muove genuinamente verso l’azione, come un gruppo che giunto alla decisione consensuale – non unanime, ma consensuale, dove le irriducibili differenze si tengono insieme senza schiacciarsi – si muove coeso verso la meta. Sì, “come un gruppo”, similitudine che proietta in primo piano la dimensione politica dell’interiorità, perché in questo mondo in crisi e in lotta, scrive la filosofa Martha Nussbaum, nella sua opera dal titolo emblematico, The clash within, “Lo scontro reale non è ‘lì fuori’, tra gli Occidentali e i Musulmani, è qui, dentro ogni persona, poiché oscilliamo tra l’aggressività per proteggere il proprio sé e l’abilità di vivere nel mondo con gli altri.”

Sì, vivere con gli “altri”, dove noi siamo noi e al contempo siamo gli altri; proprio come la mente, che è sia incorporata, quindi individuale, sia relazionale, ovvero il risultato delle interazioni con l’ambiente sociale e culturale che modellano le sinapsi del cervello, per cui, secondo lo studioso di neurobiologia interpersonale Daniel Siegel, “differenziare e connettere” sono i verbi della salute mentale e di una cultura sana che produce integrazione e benessere dentro e fuori di noi – e per me questi sono anche i verbi del Focusing.

Uno spettacolo di reale magia

Ma torniamo al nostro scambio alla pari: adesso è il mio turno di accompagnare. Ed eccomi in prima fila, spettatore unico e privilegiato del processo che dinnanzi a me, anche in virtù del mio esser lì, sta per dispiegarsi. Si potrebbe chiamarlo uno spettacolo di magia – di reale magia – di cui nessuno in anticipo conosce lo svolgersi, tanto meno il finale.

Vista da fuori la scena è alquanto inusuale: lei o lui ha gli occhi chiusi – però se vuole può aprirli in ogni momento – e inizia a comunicarmi ciò che sente e come si rapporta a quel sentire in divenire, a quel flusso esperienziale inarrestabile che intenzionalmente viene rallentato per cogliere l’intricata connessione mente-corpo-ambiente, mentre io, invece, gli occhi li ho ben aperti – talvolta per meglio sintonizzarmi potrei socchiuderli – eppure sono io, l’accompagnatore, il vero cieco rispetto al mondo ch’egli/ella sta esplorando, che è il ‘suo’ mondo!

Essere semplicemente accanto, con tutti i miei limiti

Per esempio, egli mi dice poco o nulla dei particolari della vicenda conflittuale che lo turba e che vorrebbe risolvere, cioè chi ha fatto cosa, come, dove, perché, ecc, insomma la pletora di informazioni che caratterizza le normali conversazioni tra persone che cercano consiglio e altre che lo offrono, comunissima prassi che spesso non porta lontano e illude perché trascura il luogo essenziale dove guardare, che non sta davanti agli occhi, ma dietro, dentro, ad un respiro di distanza. E non me ne parla perché per aiutarlo a trovare le sue soluzioni ai suoi problemi non mi (e gli) servono affatto quei dettagli. Io non sono lì per analizzare, interpretare, valutare, consigliare, sono lì per stargli semplicemente accanto centrato nella ‘mia’ Presenza, con tutti i miei limiti, nel suo tentativo, con tutti i suoi limiti, di starsi accanto centrato nella ‘sua’ Presenza per potersi conoscere oltre il già conosciuto.

Per sostenere il mio partner durante il suo viaggio, se so come ci si muove sotto la superficie dell’interiorità, cioè se so come si focalizza, non ho alcun interesse ad entrare nel merito dei fatti che gli provocano le difficoltà che vive, o avere indizi sul suo passato o sul suo carattere: mi basta soltanto posare fiduciosamente i miei sensi sul suo corpo e sulla sua voce per essergli vicino con la ‘mia’ Presenza, nel modo più appropriato che sono in grado di offrirgli in quella circostanza – è uno Scambio alla Pari, non sono io la sua guida, né il suo terapista, è lui ad esserlo verso sé stesso. In pratica potrei anche restare in silenzio tutto il tempo; oppure potrei rispecchiare le sue simbolizzazioni adoperando il raffinato e potente linguaggio della disidentificazione; o qualora lo vedessi in particolare difficoltà nella gestione del processo potrei, se concordato dall’inizio e me la sento, con una brevissima frase ricordargli o suggerirgli come potrebbe rapportarsi al suo vissuto. Comunque sia egli potrebbe benissimo proseguire sulla sua strada senza tener minimamente conto dei miei interventi, perché ciò fa parte delle regole del gioco: è chi focalizza la guida, mai chi accompagna.

Il dono dell’autenticità

Così, mentre lo ascolto empaticamente, può accadere di commuovermi percependo nelle sue espressioni la fatica triste e solitaria di quella parte di sé che da una vita cerca di tenere tutto sotto controllo, di mostrarsi in gamba e performante, ma che comincia a temere di sgretolarsi di fronte alle avversità; oppure può succedere d’incantarmi nel vedere la tensione del suo volto gradualmente allentarsi lasciando affiorare una bellezza insospettata, quasi una grazia; oppure può capitarmi di provare vibrante soddisfazione per il tono meravigliato della sua voce, quello di uno che ha appena aperto gli occhi e compreso realmente che significa stare nel disagio del conflitto senza alcun desiderio di mandarlo via, paradossalmente ‘felice’ dinnanzi alla nuda realtà delle cose; oppure la sua focalizzazione può essere fonte d’ispirazione per una mia situazione o tematica, nonostante la sua vicenda, per quel po’ che trapela da quanto ha scelto di condividere, è lontana dalla mia; e infine, sempre, c’è la gratitudine per il dono dell’autenticità, perché quando ascolto in stato di Presenza ogni riflesso che l’altro comunica si illumina di autenticità e diventa bellezza, come l’onda che s’infrange fragorosa sugli scogli che osservo da lontano e quella che tenuemente saluta i miei piedi sul bagnasciuga prima di scomparire, entrambe a mostrarmi come sentimenti e passioni muoiano e rinascano sullo sfondo di qualcosa che non muore e non rinasce.

Autenticità per me vuol dire essere in contatto con la complessità e la solo apparente contraddittorietà di ciò che ci abita, tentando di esserne fedeli portavoce nella relazione con noi stessi e con gli altri. Quando il pensiero aderisce al vissuto e la parola risuona in bocca per verificare se è quella che rispecchia con precisione la qualità della patina che ti sta addosso soffocando ciò che in te anela a muoversi con brio, se è davvero quella l’immagine che coglie il significato implicito di quel blocco che è connesso alla tua vita bloccata e che, improvvisamente, con un ampio sospiro, sperimenti con stupore e con la certezza del corpo come non più bloccata, ebbene questi per me sono atti creativi e segni di autenticità. Perciò alla fine di un turno dello scambio alla pari si odono riecheggiare due grazie, come in uno scambio di doni: il grazie di chi ha focalizzato e quello di chi ha accompagnato. Un buon modo di concludere, leggero e promettente come una bella giornata di primavera.

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