Se Gendlin è per tutti il padre del Focusing, Ann Weiser Cornell è certamente la madre del mio modo di focalizzare. In questo brano, tratto dal libro “The Radical Acceptance of Everything”, Ann mostra con esempi concreti come la Presenza, fondamento del processo di Focusing, si manifesti come “accettazione radicale di ogni cosa”. Un approfondimento teorico-pratico del tema lo trovi qui Presenza e Disidentificazione e qui Focusing e Mindfulness.
L’accettazione radicale di ogni cosa
brano tratto dal libro “The Radical Acceptance of Everything”,
di Ann Weiser Cornell (pag. 38-42)
Traduzione di Bruna Blandino
Nel 1994 scrissi un articolo intitolato “L’Accettazione Radicale di ogni cosa”. Avevo scelto quel titolo perché avevo realizzato che le modalità di sviluppo del mio lavoro con il Focusing si stavano indirizzando verso l’accettazione, la legittimazione e l’inclusione di un maggior numero di esperienze a cui dare quel tipo di attenzione propria del Focusing. La parola chiave era inclusione piuttosto che esclusione. Da allora in poi, mentre Barbara McGavin ed io eravamo intente a sviluppare il corpus del nostro lavoro “Treasure Maps to the Soul”, la frase “Accettazione Radicale di ogni cosa” ha assunto un significato ancora più vasto della semplice inclusione dei sintomi fisici, delle sensazioni al di fuori della parte centrale del corpo, dei pensieri che distraggono, ecc. Ha iniziato a far da riferimento a tutta una filosofia dell’inclusione di aspetti del sé che altrimenti si sarebbero potuti ignorare, sminuire o esiliare.
La settimana scorsa stavo guidando un cliente nella sua prima sessione di Focusing. Come spesso accade, stava sentendo un Felt Sense nel corpo (qualcosa di triste), ma quando gli chiesi di trascorrere semplicemente un po’ di tempo con esso, mi rispose “È dura. Sono impaziente nei suoi confronti.” Se non avessi usato la filosofia dell’Accettazione Radicale di ogni cosa, avrei potuto cercare di convincerlo ad essere più paziente con quel posto triste. “Vedi se è ok essere paziente con quel posto triste“, in altre parole: “Non essere impaziente”. Allora la sua impazienza, o come diremmo noi, qualcosa in lui che era impaziente, sarebbe stato spinto via, marginalizzato, giudicato. E questo non è quello che vogliamo (dirò di più sul perché non lo vogliamo un po’ più avanti). Invece lo invitai a prendere atto che “qualcosa in te si sente impaziente verso quel posto triste” e a volgersi verso quello con curiosità. In breve tempo la sua parte impaziente iniziò ad ammorbidirsi, e lasciò spazio ad una attenzione curiosa che si volse con tutto il cuore verso quella parte triste che aveva tanto bisogno di essere ascoltata. Alla fine della sessione il cliente mi disse: “Wow, quella sì che era Accettazione Radicale di ogni cosa”. Sorrisi. Certo che lo era. E perché era così importante Per esaminarne i motivi, guardiamo prima di tutto all’essenza di un processo di Focusing.
Ciò che il Focusing favorisce è un processo che Eugene Gendlin chiama “Carrying forward” (portare avanti). Quando il “portare avanti” accade, qualcosa che mancava viene completato, qualcosa di cui avevamo bisogno ci viene fornito, qualcosa di bloccato viene liberato, e il processo desiderato si può realizzare. Il “portare avanti” viene sperimentato in continuazione nella nostra vita quotidiana, quando camminiamo, quando respiriamo, quando mangiamo. Nel Focusing il “portare avanti” è implicito ad ogni livello di significato. Quando percepiamo la totalità di come sentiamo una cosa (felt sensing), ci può anche essere la giusta percezione del prossimo passo in avanti. Per esempio, un poeta ha un felt sense dell’intera poesia, non solo di ciò che ha già scritto, ma anche di quel qualcosa-in-più-delle-parole che non è ancora stato scritto. Il rigo successivo della poesia giunge proprio da questo suo sentire. Il Focusing si può usare in questo modo con qualsiasi prodotto artistico, con il pensiero e con la costruzione di teorie, per ridurre lo stress e per prendere decisioni.
Il “Focusing della Relazione Interiore” [metodo creato da Ann Weiser e Barbara McGavin], e l’Accettazione Radicale di ogni Cosa, si applica soprattutto al Focusing per la guarigione emozionale. Nell’ambito del Focusing per la guarigione emozionale si verifica qualcosa di notevole. Il passo in avanti (carrying forward) si verifica quando qualcosa in noi viene ascoltato completamente. Quasi sempre, tutto ciò che la nostra interiorità desidera è essere ascoltata, da uno stato di Presenza, con tutto ciò che sta provando. Questo può voler dire ascoltare quello che vuole, o quello che non vuole, o quello che ha dovuto passare molto tempo fa. Non prevede di trovare una soluzione o aggiustare una situazione o fare qualcosa. Potremmo pensare di dover fare qualcosa, sistemare quello che non va, risolvere un problema. Ma non è così – infatti, fare qualcosa rallenta il verificarsi del “carrying forward”, del passo in avanti, perché il fare non viene dalla Presenza, ma da un’altra parte di noi. (È una parte di noi, non la Presenza, che ha il concetto di dover fare qualcosa, spesso spinta da un senso di urgenza interna. Dobbiamo riconoscerla, non agirla. Naturalmente, questo è un altro esempio di Accettazione Incondizionata di ogni cosa).
Si noti che non siamo contrari all’azione! C’è un agire che viene dal Sé in Presenza, esso fluisce, è efficace, trasformativo. Il problema sorge quando una parte cerca di passare all’azione nei confronti di un’altra parte, spinta dalla paura di sentire ciò che altrimenti dovrebbe essere sentito. Quel tipo di azione porta ad una polarizzazione e ad una resistenza. Ciò che chiamiamo “blocco” interiore quasi sempre è l’interazione di due parti, una che cerca di far cambiare o far muovere l’altra, mentre questa seconda oppone resistenza. Se ci identifichiamo con una delle parti siamo incastrati nella polarizzazione, bloccati in un conflitto interno. La parte opposta viene spinta via, esiliata. E nessuna ottiene l’attenzione di cui ha bisogno, come ne ha bisogno, in modo da permettere l’andare avanti (carrying forward).
E quindi eccovi seduti in un processo di Focusing. Sapete che il processo sarà grandemente facilitato se sarete pazienti, accettanti, accoglienti verso ciò che state sentendo, in modo che esso possa raccontare la sua storia, evolvere, andare avanti. Notate che non vi sentite pazienti, ma impazienti, proiettati verso un risultato. Cosa fate? Perché non trasformare l’impazienza in pazienza? Perché non scambiare la critica e il giudizio con l’accettazione? Cosa c’è di sbagliato nel cercare di essere forti invece di deboli, gentili invece di crudeli, fiduciosi invece di spaventati? Tutto ciò risuona come una direzione positiva verso cui andare, ma il ‘come’ fa tutta la differenza. I risultati non sono la sola cosa che conta. Immaginate di cercare di risolvere il problema dei senzatetto stipandoli in pullman e spedendoli in un’altra città, mettendoli poi tutti in prigione o perfino sparandogli! No, le strade ripulite non varrebbero il costo di vite umane. La stessa cosa vale per il mondo interiore. Quando aspetti del nostro sé vengono esiliati, non se ne vanno semplicemente e tranquillamente via. Diventano fastidiosi, sabotatori, bloccanti, rimangono invariati. E giustamente, perché non dovrebbero essere trattati in quel modo; anch’essi possono dare il loro contributo.
Gendlin scrive: “Pensiamo di farci del bene non permettendoci di sentire i nostri aspetti negativi. Ma questo li mantiene semplicemente statici, gli stessi anno dopo anno” (Let your body interpret your dreams, p.178). Ciò che non viene sentito non può evolvere e cambiare. Per molti di noi incontrare la disapprovazione altrui durante il periodo della crescita ha significato cercare di sopprimere aspetti di noi stessi. I genitori di Amy si spaventavano quando lei aveva bisogno di loro. Si ritraevano dalle sue espressioni di bisogno, ed Amy l’aveva vissuto come disapprovazione e abbandono. Come risultato aveva cercato di non essere ‘bisognosa’. Aveva cercato di staccarsi e liberarsi da ogni bisogno dei suoi genitori. Ma (fortunatamente) non possiamo liberarci delle nostre parti… tutto quello che possiamo fare è esiliarle, mandarle in cantina, lontane dalla nostra consapevolezza. Il risultato è che siamo meno completi, meno noi stessi – e quelle parti esiliate non possono ‘andare avanti’ (carrying forward) come dovrebbero. Ed è questo il problema, esattamente questo. Gli aspetti esiliati non possono trasformarsi. Quando spingiamo via ciò che stiamo provando, anche con le migliori intenzioni (“Voglio essere più paziente con me stesso”), creiamo una situazione in cui qualcosa non può cambiare, perché è al di fuori della nostra consapevolezza.
Ma così non stiamo semplicemente spostando la prescrizione a un livello superiore? Piuttosto che “Sii paziente” ecc. non stiamo forse dicendo “Sii accettante?” Sii Radicalmente Accettante! Tutto il tempo! Capisco che potrebbe essere inteso in questo modo, ma no, non è affatto la stessa cosa. Perché l’Accettazione Radicale non è un sentire che dovete imporvi di sentire. È un contenitore e un’azione. Il contenitore dice che qualsiasi cosa non sia la Presenza, è qualcosa che ha bisogno della Presenza. L’azione è volgersi verso qualsiasi cosa non sia la Presenza e riconoscerlo. Questo è possibile farlo indipendentemente da qualsiasi stato d’animo in cui vi troviate… quindi non è una ricetta per il modo giusto di sentire. È come girarsi verso qualcuno che vi sta tirando la manica. “Ah, sento che qualcosa in me è impaziente. Lo saluto…” Più facciamo ciò, e più ripeteremo l’esperienza che non abbiamo bisogno di cercare di essere gentili, compassionevoli, forti, connessi, creativi, perché lo siamo già. Il Sé-in-Presenza ha queste qualità, e molte altre, senza cercare e senza sforzo. Quando vi voltate verso ciò che non è la Presenza, verso ciò di cui state facendo esperienza, ciò che voi siete, quella è la Presenza.