Questo è il titolo dell’articolo di Robert Lee, un testo ricco di originali spunti pratici e di stimoli particolarmente utili sia per chi pratica e insegna il focusing, sia per chi si occupa di forme di relazione di aiuto orientate al focusing.
Il ruolo essenziale dell’Auto-Empatia nel Focusing
© 2013 (originale 1997), Robert L. Lee, Ph.D., US# 707 237 5283; robert@focusingnow.com
Testo originale alla pagina https://focusingnow.com/essential-role-self-empathy-focusing/
Traduzione a cura di Roberto Tecchio, Laura Pappadà, Ercole Boni
Voglio postulare che l’auto-empatia e un Felt Sense che può esservi correlato e simbolizzato, articolato con parole, gesti, immagini, suoni, sono due estremi della stessa altalena.
Uno dei problemi ricorrenti nell’insegnamento del Focusing è relativo alle persone che hanno grandi difficoltà a identificare o a riconoscere o a relazionarsi con un Felt Sense.
D’altro canto, anche le persone che sanno come ottenere un Felt Sense, possono avere difficoltà ad ottenerlo in relazione ad un particolare problema.
E ancora, anche le persone che riescono ad ottenere un Felt Sense in relazione ad un particolare problema, possono non essere in grado di farlo emergere nel luogo in cui si sta muovendo, a piccoli passi (non i “6 passi” di Gendlin, ma i piccoli cambiamenti che un Felt Sense attraversa) per ottenere infine un cambiamento qualitativo.
Comprendere il ruolo dell’auto-empatia e il suo rapporto intrinseco col Felt Sense, incluso il suo essere parte di un processo “auto-empatia>>Felt Sense” può essere di aiuto con questi problemi.
L’auto-empatia ha anche il potenziale di aggiungere eleganza al processo di Focusing, collegando molte strategie a un’unica idea. Aggiunge, inoltre, strategie finora impensabili o difficili da pensare.
Voglio approfondire l’auto-empatia dal punto di vista teorico, nella pratica e nelle nuove pratiche.
Quella che chiamo “auto-empatia” non è una novità; il modo in cui la intendo e ciò che apporta è forse un po’ nuovo. L’enfasi di Cornell sul dire “Ciao” al Felt Sense… “Puoi salutarlo?” è, per come la vedo io, un modo per sottolineare l’importanza dell’auto-empatia. Senza alcuna pressione, pone questa domanda, interessata sia alla risposta negativa che a quella positiva.
Il “No, non sono pronto” viene preso molto seriamente; ci si mette a quel punto alla ricerca di un altro “tema” che potrebbe essere disponibile utilizzando la domanda: “Cosa ti impedisce o ti blocca nel dire Ciao“, e possiamo quindi fare in modo che sia quello il nuovo tema e dirgli Ciao. Se non si può dire Ciao, non si è pronti ad andare più a fondo nella focalizzazione.
Gendlin sottolinea la contaminazione che il critico interiore porta al processo di Focusing. Il processo si blocca quando il critico viene assecondato, attaccato, deriso, schernito, convinto a indietreggiare e lasciare spazio. Dal punto di vista che qui sto sviluppando, l’auto-empatia viene distrutta dal critico e fino a quando l’auto-empatia non viene ripristinata, il lavoro con il Felt Sense si ferma. Il modo in cui Gendlin lavora con il critico, respingendolo, crea veramente lo spazio affinché l’auto-empatia ritorni e il processo continui, anche se lui non spiega più di tanto questo aspetto del lavoro col critico (il ritorno all’auto-empatia).
Campbell & McMahon (Biospiritualità), sottolineano l’importanza di verificare se va bene poter lavorare con un problema o un Felt Sense. Io suggerisco che questo passo verifichi essenzialmente se la persona ha abbastanza empatia in quel momento verso questo problema o questo luogo o questo felt sense, da poterci lavorare. Se la persona in quel momento non ha quell’empatia, solitamente dirà no, non va bene. Ovviamente può accadere più volte che emerga qualcosa che richieda più empatia; si controlla ancora se va bene, e se l’empatia non è sufficiente la persona solitamente dirà di no e il processo può continuare a evolversi.
Osservando Mary McGuire & Janet Klein (ex direttori del Focusing Institute) ho notato che usavano le parole “curioso“, “amichevole“, “accogliente” in un modo utile a verificare quella che io chiamo “auto-empatia”. ‘Puoi essere accogliente con ciò che arrivato’; puoi essere amichevole; puoi essere curioso.
A volte sembrava che usassero queste domande in modo gerarchico e in effetti anche io a volte lo faccio. Quindi, “accogliere” corrisponde a mostrare molta empatia, “curioso” a mostrarne una quantità minima e “amichevole” a una qualche via di mezzo. Questo speciale approccio, di fatto, non è solo molto utile per i nuovi focalizzatori; anche per i focalizzatori esperti è piuttosto potente rendersi conto di ciò per cui possono solo essere curiosi e prendersi del tempo per procedere verso l’essere amichevoli o addirittura accoglienti nei suoi confronti. Per i focusers esperti questo semplice movimento da “curioso” ad “accogliente” passando attraverso “amichevole” tende a portare cambiamenti sorprendentemente profondi. Dal mio punto di vista, McGuire & Klein quando usano quelle domande in questo modo prestano molta attenzione all’auto-empatia.
Cornell & Gavin sottolineano l’importanza della Relazione Interiore. Con questo penso che intendano il rapporto dell’Io o del sé centrale rispetto al vissuto esperienziale, il rapporto dell’intero con la parte. Dando un nome a tutta questa area, ed esplorandola, sembrano non solo andare oltre il “trovare la giusta distanza” usando i loro termine, ma anche oltre l’”atteggiamento di Focusing” – vecchia denominazione e concetto – in un modo che apre a nuove possibilità e nuove idee.
Credo che loro includano molto di ciò che io chiamo auto-empatia. Ma ancora non conosco sufficientemente bene il loro lavoro per esserne sicuro. Ho deciso di mantenere le mie classificazioni perché continuano ad essermi di aiuto nello svelare le cose.
All’interno della categoria generale dell’”atteggiamento di Focusing” ci sono molti esempi di domande che vengono usate per aiutare un focalizzatore (quando viene guidato) o usate dal focalizzatore (quando viene solo ascoltato) che esortano o verificano la presenza dell’auto-empatia. “Puoi essere gentile con lui (il Felt Sense)”, ” puoi essere paziente con lui“, ” puoi stare con lui“, ” puoi restare con lui“, “ puoi essere comprensivo con lui“, “ puoi essere compassionevole nei suoi confronti“, “ puoi essere rispettoso nei suoi confronti“.
Il “lui” non deve essere necessariamente il Felt Sense, può essere anche il problema. Per esempio, se qualcuno sta lavorando sulla sua depressione (la depressione è il “problema”) può chiedere se può essere gentile con la sua depressione? All’inizio, le persone non possono essere gentili con la depressione, ma la odiano profondamente. Quindi, analogamente all’uso del “ciao” della Cornell, io chiedo che cosa gli impedisce di essere gentili. Loro rispondono che la odiano, e quindi chiedo se possiamo considerare questo il nuovo problema, il loro odio, e vedere se si genera un Felt Sense su questo.
Quando insegno a una nuova persona per la quale non ha senso ‘Felt Sense’, né “esperire“, né “significato sentito“, e le “sensazioni” sono solo il segnale che le sinapsi stanno funzionando, è particolarmente utile il poter lavorare sull’empatia per il problema, perché questa è l’unica cosa che abbiamo in comune!
Il “lui” per cui troviamo l’empatia può essere un bambino interiore o un genitore interiore o un neonato interiore. Può essere una forza archetipica. Può accadere che quando percepiamo l’esperienza interiore, iniziando a descriverla o a scoprirla, notiamo che ci sembra infantile, o è la parte di me che vuole essere antipatica, o la parte che vuole essere riconosciuta, o la parte che è critica. Può essere utile anche pensare al lavoro del Focusing come a un dialogo con questa parte: “Chiedigli di cosa ha bisogno”? Ovviamente, il lavoro di auto-empatia riguarda anche questo “lui“. Puoi essere delicato con “lui“? Puoi essere paziente con lui?”.
Nella Meditazione della Guida Interiore (Steinbrecher), un viaggio di immaginazione attiva esoterica junghiana, si chiede alla guida di portare un archetipo rispetto a un problema. Nell’immaginario interiore una forza archetipica unica si manifesta nell’occhio interiore e gli si pongono domande come: cosa devo fare per essere tuo amico o cosa vuoi da me? Ogni arrivo di una forza – visiva o di altro tipo – può diventare il ‘lui‘ verso cui sviluppare empatia.
Con lo svilupparsi dell’empatia, il Felt Sense sembra poter arrivare e muoversi attraverso i passi più facilmente e con maggior profondità.
Per riassumere quanto detto finora, come enfatizzano in Inner Relationship Cornell & McGavin, penso che l’intera area di sé in relazione al Felt Sense debba essere sviluppata e ampliata al di là della critica e dell’atteggiamento di Focusing o dell’attenzione spirituale della biospiritualità. Personalmente uso il termine “auto-empatia” perché facilita lo svelarsi. La prima elaborazione è che ci può essere empatia per il problema così come per il Felt Sense o per la sotto parte o la sotto forza associata al Felt Sense. Questo è utile per le nuove persone con le quali il principale punto di condivisione può essere l’area del problema, l’area cognitiva.
L’empatia e il Felt Sense possono essere parte di un processo più grande, nello stesso modo in cui le due estremità di un’altalena appartengono alla stessa tavola. Il tempo trascorso per ottenere un felt sense può essere stato accompagnato da un’auto-empatia non identificata che ha permesso, creato e si è co-manifestata col Felt Sense. Quando noi insegnanti ci siamo imbattuti in muri di pietra negli altri o in noi stessi, può darsi che non ci fosse abbastanza auto-empatia per sciogliere i muri. Inoltre, l’entrare nel Felt Sense come fanno i focalizzatori può automaticamente sollecitare maggiore auto-empatia, come spesso si manifesta col felt shift. Quindi non solo l’auto-empatia permette l’emergere del Felt Sense, il suo sviluppo e la sua maggior significatività, ma l’entrare nel Felt Sense più profondamente consente una più profonda, più specifica, più giusta auto-empatia tale da curare la relazione interiore.
Implicazioni per l’insegnamento
Trovare il tipo di auto-empatia necessario per il Felt Sense o per il tema scelto, “quello giusto“, non è solo importante, ma è anche commovente e promuove la crescita. Piuttosto che suggerire a qualcuno di salutare il suo problema o il suo Felt Sense, io cerco di suggerire una forma di empatia che sembra quella giusta per quel problema, o di chiedere loro di trovare il “giusto” atteggiamento empatico.
Qui può essere utile fornire maggiori elementi del contesto storico. Dopo aver visto come lavoravano M. McGuire e J. Klein, ho iniziato a usare “curioso, amichevole, accogliente” come progressione dell’auto-empatia. “Posso/puoi essere curioso (verso il Felt Sense o il problema)?”, “puoi essere amichevole verso di lui?”, “puoi essere accogliente verso di lui?“. Spesso funzionava. O cominciavo a lavorare quando qualcuno aveva un problema o un felt sense verso cui era almeno curioso, oppure potevo iniziare a lavorarci dall’altro lato dell’altalena, quello dell’empatia. Cioè, se la persona poteva essere curiosa, ma non amichevole, avrei potuto suggerirle di chiedere cosa le impediva di essere amichevole, o se poteva essere amichevole, ma non accogliente, cosa le impediva di essere accogliente? Lavorando a partire dal lato dell’empatia sembra che si verifichino gli stessi tipi di cambiamenti che avvengono quando si fa risuonare il Felt Sense, entrandovi e descrivendolo meglio. Quindi mi sono chiesto: possiamo far muovere un Felt Sense esplorando l’auto-empatia? Può essere talvolta un modo più semplice ed elegante di lavorare?
Ad alcuni dei miei studenti e clienti però non piaceva questo curioso > amichevole > accogliente. Era troppo “preconfezionato” per loro. Allora ho iniziato a provare con altri tipi di parole che evocassero auto-empatia, come “puoi essere gentile, puoi essere paziente, puoi accettare, puoi essere comprensiva? Puoi riconoscerlo, puoi fargli spazio, puoi stare con lui? Puoi tenergli compagnia, puoi ‘esserci’, puoi ‘esserci’ per lui, puoi cantargli una cavolo di ninna nanna mentre ti ci intrattieni?” Perdonate il volgare, ma ho cominciato a chiedermi come metterei a dormire il mio bambino cercando modi per essere empatici. E ricordo quanto fosse frustrante quando quel bambino non andava a dormire. In qualche modo la frustrazione e il “malessere” generati da quell’operazione partecipavano tutti a insegnarmi ad amare quel bambino. Da qui, il volgare.
Ora, naturalmente, posso andare almeno in due direzioni. Come la Cornell e la sua domanda Ciao, posso sempre chiedere cosa c’è che impedisce di essere _______ (curioso, gentile, paziente, riempire lo spazio vuoto) con lui e invitarli a fare di quello il nuovo tema/Felt Sense >> ciò che impedisce; ma posso anche esplorare o chiedere loro di esplorare quale parola empatica, quale gesto empatico, quale postura empatica potrebbero assumere nei confronti del Felt Sense/problema: se non puoi essere curioso, puoi essere gentile, o che ne dici di paziente, o di benevolo.
Voglio brevemente aggiungere quanto sia importante riconoscere quanto possa essere difficile per un focalizzatore dire “No, non posso essere curioso”. L’onestà qui è essenziale ed è coraggiosa. Credo che sia necessario prevedere quanto ciò possa essere difficile – “no è una risposta altrettanto buona quanto un sì”, “sei sicuro”. Quando qualcuno risponde: “sì, probabilmente posso essere gentile, o sì, penso di poter essere gentile, o paziente” di solito le prendo nel senso di “no, non posso”. Chiedo loro di controllare: possono davvero essere così con quel luogo?
È interessante notare che il blocco del salutare non è come il blocco del “riconoscerlo”, o come il blocco dell'”essere gentili”; tuttavia, lavorare su uno qualsiasi di questi blocchi può essere utile per tornare alla questione originale su cui ci sarebbe bisogno di lavorare. Esplorare altre possibilità di auto-empatia e lavorare su ciò che impedisce di essere auto-empatici (dire ciao) possono rappresentare delle possibili vie. Quando mi fermo o rallento o rimango bloccato nella mia guida o nel mio lavoro con me stesso, queste diventano vie che possono indirizzarmi verso una modalità molto creativa. Posso iniziare esplorando altri modi di essere auto-empatico, ma in qualsiasi momento posso passare a ciò che lo blocca?
Questo modo di lavorare mi aiuta in quelle pause in cui non so cosa fare (mentre aspetto che arrivi una comprensione). Mi capitano spesso. In realtà credo che accadano alla maggior parte degli insegnanti di focusing. Il fatto che a loro sembri fluido dipende dall’essere entrati e usciti così spesso dal non-sapere che non vivono il non-sapere come un’esperienza estranea. Lavorare sull’auto-empatia è anche utile quando il processo è interrotto, bloccato o troppo superficiale. Con una persona nuova a cui il mondo dell’esperienziale sembra strano, offre all’insegnante molti, molti altri modi di lavorare. Passare un’intera sessione con qualcuno che controlla se può essere gentile, o paziente con qualcosa, non è una cosa negativa. L’effetto che seguirà può essere molto potente.
Quando uso l’esplorazione di altri modi di essere auto-empatici come approccio, piuttosto che esplorare il problema/Felt Sense attraverso l’uso delle domande auto-empatiche come ‘puoi salutarlo?’, con una persona nuova al Focusing o al lavoro di auto-empatia, ho bisogno di facilitarlo. Caricarli con un altro concetto sconosciuto potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Quindi, avendo visto questo accadere di tanto in tanto, mi sono chiesto come avrei potuto renderlo più facile?
Mi sono reso conto che il Focusing è già abbastanza complicato per una persona nuova – voglio davvero introdurre un concetto completamente nuovo a quel punto? Di solito non lo faccio, ma devo comunque essere in grado di lavorare con l’auto-empatia anche se non la introduco. In questo caso voglio solo che la persona trovi un Felt Sense e che sia in grado di lavorare su di esso in modo che si muova. Quello che ho trovato è che posso stare con il mio Felt Sense del loro Felt Sense (anche se loro non lo hanno ancora definito molto bene) o che posso cercare di ottenere io un Felt Sense del loro Felt Sense relativo al loro problema. Mi piace la terminologia “ottenere un Felt Sense del loro Felt Sense” al posto di ‘sintonizzarsi con il loro Felt Sense o sentire il loro Felt Sense’, perché implica la versione che io ricevo. La copia di un dipinto, la registrazione di una performance dal vivo, non vanno confusi con l’originale. Questo è particolarmente vero quando conosci qualcuno a malapena e generi la tua copia in un microsecondo o in un minuto.
Quindi lascio che si generi il mio Felt Sense del loro Felt Sense o del loro problema che non ha ancora un Felt Sense articolato, poi mi chiedo quale gesto o atteggiamento empatico sarebbe “giusto” o “abbastanza buono” per questo luogo. A volte mi viene una parola che è “abbastanza buona”, per “proprio quella giusta” solitamente ci vuole un po’ più di tempo. Delicato e gentile non emergono tanto spesso quanto vorrei usarli. “Puoi essere compassionevole con questo problema?” “Puoi essere comprensiva nei suoi confronti? Riesci ad accettarlo?” sono emersi più di quanto mi aspettassi, per cui ora li provo più spesso con me stesso o con gli altri. La domanda per la guida diventa: “Quale atteggiamento empatico funzionerebbe o aiuterebbe ad aprire questo Felt Sense del loro Felt Sense che sto provando? In qualche modo, sto chiedendo di cosa ha bisogno il Felt Sense per essere perlomeno esplorato. La domanda: “Di cosa ha bisogno?” è di solito una domanda che viene riservata a quando si e’ entrati nel Felt Sense ed è stato approfondito ed esplorato. Spesso questa domanda (che è considerata una domanda di cambiamento nel quinto passo del modello di insegnamento in 6 passi di Gendlin), funziona leggermente esplorando l’auto-empatia, all’inizio. Con una persona nuova o a cui è difficile insegnare, la guida che percepisce che tipo di auto-empatia è “sufficientemente buona” aiuta il processo a svolgersi senza intoppi e il nuovo studente può tornare al lavoro sul Felt Sense che è così importante.
Sono uno psicologo e ho uno studio privato dove incontro persone individualmente, in coppia, in gruppo, in famiglia. In genere non insegno a focalizzare durante una sessione, anche se incoraggio le persone a farsi formare da insegnanti diversi da me. Uso la focalizzazione implicita molte volte in una sessione, sia con il cliente che con me stesso, per sapere cosa fare dopo. Ho trattato di focalizzazione implicita in un altro articolo. In questo contesto una persona che resta per 3 secondi con un Felt Sense è incredibile. In questo contesto, in cui l’enfasi è molto più centrato sulla relazione, il Focusing tende ad avvenire a tratti piuttosto che a turno, come avviene per le persone che conoscono il processo. L’elemento dell’auto-empatia diventa ancora più utile in questo caso.
Nella mia attività di terapeuta ho iniziato a portare questo lavoro in un’altra direzione. Quando i miei clienti depressi mi dicevano che odiavano la loro depressione e qualsiasi cosa ad essa collegata; quando mi dicevano di smetterla con questa roba da pappamolle gentili (sì, a volte la esagero) ho cominciato a chiedermi che tipo di auto-empatia sarebbe stata accessibile a loro. Ho provato le solite modalità, quelle verso il critico, lo starci insieme, l’approccio curioso-amichevole-accogliente, gli altri tipi di approccio di auto-empatia, l’approccio di ricerca del tipo di disposizione auto-empatica che gli sarebbe utile, ma continuavo a volte a ritrovarmi comunque in un vicolo cieco.
Mi sono quindi chiesto: C’è qualche tipo di empatia che io non vedo che aiuterebbe queste persone ad aprire il mondo del loro experiencing? Ascoltando con più attenzione, tutto quello che sentivo era quanto odiassero la depressione. Poi, da più direzioni contemporaneamente – un programma radiofonico, un articolo di giornale, nei miei rapporti con alcune persone care e in precedenza a me vicine, ho sentito il tema della connessione con l’odio. L’odio è una connessione. E a volte può evolvere in una connessione di crescita. Non potevo arrivare a chiedermi: “Si può essere odiosi verso questa depressione? “Potresti essere un assassino verso questa depressione?” Il margine del male ha bisogno di mediazione. Ma poi l’ho chiarito. Si può odiare empaticamente la propria depressione? Si può essere empaticamente rancorosi verso la propria depressione? Si può essere empaticamente arrabbiati nei suoi confronti? Si può essere empaticamente assassini nei suoi confronti?
Con l’uso del termine “empaticamente” distinguo tra l’odio, la rabbia e l’assassinio, per come possono operare per creare dolore e sofferenza dal modo in cui li sto usando io. Vi faro’ altri due esempi. Voglio distinguere tra una rabbia distruttiva e, per esempio, la rabbia per l’ingiustizia sociale che ispira qualcuno a cambiare la struttura sociale. La rabbia che ispira è la rabbia al servizio del bene superiore.
Un altro esempio viene dal libro di Eugene Gendlin sui sogni. Una donna ha fatto un sogno su dei maialini e la loro madre. L’energia d’azione della donna scaturi’ dal modo in cui le azioni della madre dei maialini verso di loro (l’allontanarli con fermezza e vigore), potevano essere d’aiuto nella sua situazione problematica ed in effetti lo furono. >>> Puoi essere empaticamente ferma ma energica come la madre verso i suoi maialini nella tua situazione?
L’empatia ha una connessione naturale con la morbidezza della gentilezza, la delicatezza, la pazienza, l’amore, l’accettazione. Affermo questo e lo sostengo e non voglio rompere quel legame. Tuttavia, questo non deve portarci a non vedere i lati rigidi se non addirittura difficili dell’empatia, la sua multidimensionalità. L’empatia è un grande, grande concetto soprattutto nel suo riferirsi a una serie di significati sentiti.*
Non posso affermare o anche solo sospettare che il concetto di auto-empatia sia nuovo al di fuori della focalizzazione. Non sono un esperto della letteratura sull’empatia. All’interno del mondo del focusing che conosco un po’ meglio, non sono a conoscenza di altri che usano questo termine. Ma sono sicuro che gli altri hanno familiarità con questa dimensione. Ho citato alcuni degli argomenti del Focusing che già indicano esplicitamente questa direzione come un modo per riconoscere questa comunanza e per arricchire la discussione. La mia speranza è che chiamarla “auto-empatia” ed approfondirla possa dare ad ancor più persone l’accesso a questa dimensione del lavoro col Focusing. La mia speranza è che faciliti l’insegnamento e l’apprendimento del Focusing. In particolare spero che agevoli il processo di insegnamento/apprendimento per le persone che non lo imparano facilmente e con i clienti in terapia che non vi si abituano facilmente. La mia speranza è che aiuti i focuser in generale a sbloccarsi e ad andare più a fondo. L’idea di trovare un modo “abbastanza buono” di avere auto-empatia e di trovare il modo “proprio giusto” di avere auto-empatia, sono idee nuove. Anche l’idea di accedere empaticamente all’odioso, empaticamente all’assassino, empaticamente all’arrabbiato è nuova. Spero che possano contribuire a un dialogo sempre più ampio e arricchente.
* I concetti più recenti sull’auto-empatia sono legati al lavoro nella mia tesi sulla “neutralità”, al mio studio sulla coscienza con Marty Cohen e Rebecca Falk e al lavoro di George Simon in generale.